Eccolo, il codino biondo leggermente arruffato, le gambe lunghe e secche, lo sguardo chiaro sopra quelle efelidi che alle guance quando si arrossavano davano trasparenza di pesca. Marco, dal suo banco, si sentiva sollevato al solo vederla entrare in aula.
Troppo aspettare questo momento, ogni giorno, ogni mattino, ogni ora. Quel triste edificio, liceo dalla cupa architettura fascista, diventava allora tollerabile, pronto celare quel cuore di liceale innamorato.
La mano di Marco tremava nell’estrarre il foglietto, sul quale aveva stilato quei versi dell’Orlando Furioso, versi d’amore per la fuggitiva Angelica. Non aveva ancora trovato il coraggio di darlo quel foglietto, all’Angelica del suo cuore, questa Laura di cui scorgeva il codino un metro davanti a lui, giusto un banco a separarli. All’uscita, quando insieme percorrevano la strada da scuola alla casa di lei, lui quei versi non osava darglieli. Nella sua stanza ne aveva una cinquantina, sparpagliati un po’ ovunque.
Lei abitava in una palazzina elegante, un neoclassico lombardo, il cui portone lasciava intravedere un giardino con piccole palme a fontane zampillanti. A pochi metri di distanza da questo quartiere di “lusso” iniziava quello delle case popolari, dei “poveri”, delle case “liggera”, dove abitava Marco, appunto. Un quartiere a separarli, a dividere questo amore. Il padre di lei celebre venditore, un poco chiacchierato, per via di quella ricchezza non troppo “pulita”, quello di lui operaio ora in cassa integrazione, un turbine di lavoretti precari per mantenere lui agli studi, allievo brillante, promessa di un futuro migliore. Ecco il perché dell’addentrarsi in quelle vicende fantastiche ariostesche.
Alla fine, lui i versi dell’Ariosto era riuscito a infilarli nello zainetto. Sebbene sapesse dell’impossibilità di quest’amore. Sebbene sapesse di quest’impossibilità lei un bacio glielo aveva dato contro un muro di sera. E poi era partita per l’estero con il suo profumo di ricchezza. Di lei più niente. Dodici anni dopo Marco correva in aeroporto verso l’aereo che l’avrebbe portato negli Stati Uniti, un contratto in tasca, dopo quella borsa di studio guadagnata con fatica, studio, lavoro per anni per non deludere i suoi e ora la fortuna, il lavoro.
Comprando il giornale, in un angolo vide un’edizione economica dell’Orlando Furioso. Sorrise al ricordo di quel codino biondo indimenticato. Doveva affrettarsi. Una coda bionda lì c’era in realtà, apparteneva a una ragazza con la divisa verde di addetta alle pulizie, all’estremità della sala verso la zona dei servizi. Eh sì, Laura si arrangiava con lavoretti precari, dopo la “disgrazia”. Il padre in carcere per bancarotta aggravata, la malattia della madre, l’abbandono degli studi, tutto in fumo. Dalla tasca era caduto un foglio ormai ridotto quasi in briciole, dopo dodici anni. I versi dell’Ariosto giacevano impalliditi su quel pavimento lucido. Marco ci stava posando sopra il piede, nel dirigersi verso l’imbarco. Si fermò a raccoglierlo. Batté con fretta sulla spalla di quella ragazza.
“Mi scusi... è suo?” Eh sì, il destino fa strani scherzi, a volte.