Domenico tornò al proprio banco, dopo l'interrogazione di storia, alquanto impacciato per via di quegli sguardi divertiti e di quei bisbigli strafottenti rivolti al suo indirizzo.
Il motivo lo indovinava: tutto questo per via della sua cadenza meridionale che suonava così divertente agli orecchi dei suoi compagni milanesi. L'essere “terrone” gli stava pesando in questo primo anno di scuola a Milano, III media, sezione D, dopo il trasloco da Palermo. Per esempio, i suoi compagni Karim o Sachi, uno arabo l'altro giapponese, non suscitavano tanta malcelata ilarità. Loro la cadenza milanese l'avevano già assimilata. Solo le facce tradivano l'origine “esotica”. Lui era solo il “terrone” non esotico. Per di più, Domenico era consapevole di possedere una stazza robusta nonché un paio di occhiali dalla montatura molto fuori moda, scuri, pesanti, che non gli donavano per niente. Un panda sono, si diceva scontento. Mica come il suo compagno Nicolò, che li aveva superleggeri, con quel DG di lato che tanto la diceva sulla sua classe sociale.
L'interrogazione era andata bene, come sempre, nonostante l'impaccio. A casa trovò la madre, già rientrata dal suo turno di lavoro come cassiera del supermercato del quartiere. Vivevano soli, lui e lei, condividendo solitari una nostalgia tremenda per il loro paese. “Com'è andata?” chiedeva lei ogni volta. “Bene” rispondeva Domenico, cercando di non tradire il proprio disagio. Dopo aver sbrigato le incombenze domestiche, lei estraeva dall'armadio i libri, si sedeva al tavolo e cominciava a studiare. Si preparava alla licenza media, alle serali: le sarebbe servita per il lavoro. Non passava molto tempo che lei lo chiamava “Dommé!”. Ecco, ora gli sarebbe toccato aiutarla, interrogarla, cercando di toglierle quei modi di interloquire troppo “siculi”. Lei non aveva studiato, a tempo debito. Era diventata madre a 16 anni, una madre “bambina”, ma già prima era stata tolta dai banchi scolastici per lavorare e aiutare in campagna. Del padre non si era saputo più nulla. Anche lui un bambino, sicuramente. Cose che capitavano dalle loro parti. Un giorno aveva trovato un ritaglio di giornale, con certi titoli drammatici su una strage organizzata da clan mafiosi. Tra le foto delle vittime ce n'era una ritagliata, con sottolineato il nome Antonio. Un bel giovane. Si era messo in testa che quello fosse suuo padre. E questo doveva essere il suo “segreto”. Dopo questo fatto erano partiti per Milano, forse un po' troppo in fretta e furia. Uno zio si trovava già qui, li avrebbe aiutati. “Ripeto ancora la lezione, Dummì?” supplicava la madre la sera dopo il lavoro. “Manca solo un mese”, sospirava, “ce l'agghia a far”. Domenico l'ascoltava concentrato. Lui i suoi compiti li aveva già fatti. Quindi la poteva aiutare: intanto metteva su due hamburger e l'acqua per la pasta. Tutti amavano sua madre, per via di quel sorriso sorprendente, da ragazzina.
Bene o male, un mese era passato. Gli scritti a lui parevano essere andati bene, aveva cercato anche di aiutare Nicolò, in evidente difficoltà con la matematica. Sua madre era contenta per lui, ma si torceva le mani dal nervosismo per sé. “Domani gli orali, non dormo da notti, Dummì!”. Domenico sospirava: “Vuoi ripetere la lezione, mà?”. E così piano piano si era arrivati al giorno degli scrutini. “Vai tu, Domenico, a vedere. Niente ricordo di quello che ho detto, solo una gran confusione. Vai, per piacere”. Sospirando Domenico si avviava verso la scuola della madre. Nicolò gli si era affiancato : “Che strizza, si va insieme a vedere? Che forte sei stato però ad aiutarmi. Se son passato, se ti va, i miei ci offrono un'uscita in pizzeria, domani”. Domenico si era fermato, del proprio risultato era sicuro. “vai tu avanti, prima devo andare in un posto. Ti raggiungo”. Svoltò correndo verso la scuola serale. Il cuore gli batteva forte. Che cosa aveva combinato quella meschinuzza di sua madre? Arrivato ai tabelloni, quasi non osava guardare; con lentezza arrivò alla lettera b, Bellizzi. Un sorriso soddisfatto alla fine gli illuminò il viso. Da qualche parte un professore stava tracciando il suo profilo: “Discreta difficoltà di inserimento. Per contro notevole impegno dimostrato nell'applicarsi, specie per la matematica e le scienze, materie per le quali dimostra una certa propensione. Niente da eccepire sulla disciplina. Qualche lacuna in italiano compensata da una buona capacità di sintesi nei temi svolti. Nel complesso, studioso, portato allo studio scientifico, solo da riscontrare forse una natura ancora infantile per i suoi 13 anni”. Si soffermò su questa parola “infantile” e sorrise soddisfatto.