Brandy le portò il tè. Faceva schifo, come sempre. Sapeva di uovo e curcuma. Cercando di muoversi il meno possibile, la sedicenne calò un braccio dal letto e gettò nella tazza una manciata di minuscoli biscotti di loto. Colpita dai lapilli, la brodaglia esondò e inzuppò il persiano marziano. Ines puntò il naso a terra e osservò la melma verdastra scomparire lentamente, digerita dal tappeto. “Una di quelle invenzioni che rendono il mondo noioso.” Pensò. Mentre attendeva che la bevanda si raffreddasse, si rannicchiò per finire il sonno. Brandy raccolse la tazza, la sistemò nella lavastoviglie, la avviò e si spense.
“Ines?” Una voce sottile attraversò la stanza, solleticando i timpani della ragazza; ma non abbastanza per destarla. Mamma Stella si avvicinò al letto mensola ed allungò una mano verso la spalla dell'adolescente. Involontariamente, sfiorò con il gomito il Jinn, che si attivò, collegandosi all'impianto di Ines. Un piccolo fuoco d'artificio esplose silenzioso al centro della camera, espandendosi in un ologramma sfrigolante. Apparvero immagini familiari: uno spaventoso ragno nero, il modulo abitativo in Umbria, Ettore a cavalcioni di un muretto.
Stella si gettò sul Jinn, cercando il tasto di spegnimento, ma l'apparecchio faceva parte della dotazione statale “care sensible”. Per smorzarlo, bisognava trovare la giusta frequenza affettiva, quindi accarezzare l'oggetto con convinta dolcezza. L'ansia che caricava di braci i polmoni della donna, di certo non l'aiutava.
“Ummadonna.” Girava e rigirava la sfera tra le mani, in cerca di una scritta, un'estrusione fluorescente, un segno divino.“Se si accorge che ho accesso questo aggeggio, chi la sente?” Sussurrò, a denti stretti. Il mostro continuava a produrre immagini tremolanti: il trattore dei nonni, la luna crepata, un calice di vino verde, un bacio al tramonto, un bacio al tramonto, un bacio al tra....
“No no no no. Si mette male.” Sapeva che il gesto sarebbe stato interpretato come una dolosa invasione del subconscio della ragazza. Allora prese un gran respiro, si sedette, si concentrò e... Amò l'oggetto, lo amò sul serio, sovrapponendo alla palla di titanio l'immagine della sua famiglia. Lo sfiorò, quindi, con grazia di madre, ed il Jinn, sbuffando, si spense.
“Mamma?”
Appena in tempo. Un canovaccio stropicciato, a dimensione umana, si affacciò dal letto.
“Buongiorno, cara. Mmmmhhh, notte brava nella Doppia?” - Erba. - Pensò. Sperò.
“Già.”
“Erba?” Chiese Stella, preoccupata.
“Tranquilla, tutta roba legale.” Rispose Ines, stiracchiandosi.
La madre annuì. Conosceva bene la Doppia e gli effetti delle droghe virtuali. Si era inventata una scala di valutazione dei postumi che andava da “Naima is on the air” a “Orso mangia Masha”.
Ines era a livello “Topo Gigio recita Dante “. Apparentemente, tutto in regola.
La sedicenne si tolse l'auricolare e la coroncina, spense il decoder della Doppia e fece cenno alla madre di allungarle la tazza del tè. Stella vide la tazza appoggiata sul tappeto, la raccolse, ne fissò disgustata il contenuto e, tenendola con due dita, la passò alla figlia. “Dobbiamo riprogrammare Brandy...” Le due scoppiarono a ridere, mostrando una certa complicità. Poi Stella agguantò la figlia e la strizzò. Ines si fece strizzare, fingendo di non gradire la dimostrazione d'affetto.
“A dopo.” Disse la madre, mollando repentinamente la presa ed avviandosi verso la camera di progettazione.
Ancora mezza addormentata, la ragazzina recuperò la bacchetta e diede vita alla stanza: accese il prisma scolastico, avviò la routine per l'aggiornamento dei programmi di gioco e contattò i ragazzi del rollerblade. Tentennando, aprì, o meglio, accese la finestra. Erano le undici. Era sicura che le strade sarebbero state deserte. Vide solo taxi con i vetri oscurati, robot giardinieri che inglobavano foglie, ruttando particelle marroncine, e gatti. Tanti gatti. Si davano convegno sulle panche abbandonate e si stringevano in un'unica palla di pelo e tigna, in cerca di pugna e calore.
La luna crepata rischiarava i piccoli sabba.
La luna crepata. L'incidente del 2020 ebbe l'effetto di un 11 settembre universale. Quel giorno il mito morì sopra e dentro le teste delle persone. Molte figure particolarmente sensibili, poeti di grotta, negozianti empatici, operai illuminati, si ritirarono in pineta o si suicidarono. Tutti i manager, invece, incuranti delle faccende del cielo, continuarono con lo shopping.
Il governo, in risposta alla disperazione dei cittadini, si era ridotto ad hacker emozionale. Aveva creato la Doppia, realtà virtuale in 4d, aveva autorizzato il consumo virtuale di droghe leggere (erba e acidi leggeri), implementato il programma di formazione a distanza ed incentivato lo sviluppo della tecnologia care sensible.
Coda di paglia. Ines lo chiamava così: Progetto Coda di Paglia.
Scollò il naso dal vetro, si grattò una caviglia, imprecò – chiusa in gabbia con le zanzare - mentre l'oblò che ospitava la finestra si riduceva velocemente di diametro, fino a scomparire. La parete vibrò, scrollandosi di dosso l'imbiancatura a buccia d'arancia, e divenne maiolica. Come ogni giorno, la ragazzina attivò l'applicazione Vintage 2d del Jinn, che permetteva la proiezione dei propri sogni in forma di vecchie diapositive, con tanto di clic clac tra un'immagine e l'altra.
Jung avrebbe venduto l'anima per una tecnologia simile.
Freud avrebbe, ovviamente, venduto sua madre.
Coccolò la sfera. Escluse l'opzione olografica. La sfera sbocciò, mostrando le prime foto.
Il trattore dei nonni... “Mai visto muoversi. E' stato il quartier generale della mia infanzia.”
Seconda diapositiva: un grosso ragno nero, ospite estivo di un vecchio campo scout. Clic clac.
La terza diapositiva mostrò Ettore. Consumò un solo sospiro, poi forzò la marcia delle immagini. Nuova diapositiva.: vino verde.
-...dove incontrarlo? Non prende taxi, non entra nelle gallerie. Claustrofobia. Come campa, di questi tempi, uno che soffre di claustrofobia? Deve avere una casa bella grande, o acquistare un modulo rettificatore, per sopravvivere all'esterno, per tollerare il Wasteland.- “Si fotta”.
Sussurrò, affondando la effe nelle ti.
Le diapositive oniriche scorrevano, senza che nessuna delle immagini distraesse la giovane dall'evocato Ettore e dai suoi dolosi difetti. Clic clac. Clic clac. Clic clac.
Per un attimo pensò di tornare nella Doppia, cercare Romolo, il pusher autorizzato, e farsi due terabyte d'erba Pipa, ma rinunciò: ne aveva abbastanza della realtà virtuale e delle figure tremolanti che l'abitavano. Decise di uscire di casa, prendere un taxi e buttarsi in un cinema o in un centro di socializzazione . “Per prima cosa, devo lavarmi ed indossare dei vestiti”. Si annusò e concluse che poteva vestirsi senza passare dalla doccia. Tra i tanti abiti che avrebbe potuto scegliere, selezionò accuratamente: un vecchio vestitino blu a fiori, i cui fiori erano ormai diventati macchie di Rorschach, un paio di stivali da rollerblade con la punta placcata di oricalco lavorato ed uno zaino in tyvek coperto di scritte e disegni.
Recuperò anche un vecchio portafoglio di pelle che puzzava di concia. Un portafoglio grigio; grigio piombo, come il cielo di Milano. Si vestì e si mostrò alla mamma. “Stella?” Stella fece roteare la sedia da ufficio, abbassò le lenti, alzò un sopracciglio ed esclamò “Sembri una zuppa. Una bouillabaisse, per l'esattezza. Ma... mi piace. Originale.” Poi aggiunse: “Ines... mamma, non Stella. Grazie.” “Si, ok. Ciao, Stella, mamma.” Rispose una figlia dubbiosa e sorridente. “Vado.”
Amava quella donna, ma. Miele e fiele.
Uscita, fermò un taxi, si gettò nella cabina ed ordinò: “Presto, capitano Achab, alla sala giochi di Flynn.” Le piaceva giocare con i tassisti, sempre ebbri di iperico. Il comandante del Pecod 57 sghignazzò di gusto, schiacciò il pedale dell'acceleratore e partì sgommando.
Ines si sistemò il vestito. Si guardò. Stava bene, si sarebbe definita piena, fatta, finita. Adulta.
A volte sentiva il desiderio di allontanarsi dal nido, mollare mamma Stella, Brandy, il padre fantasma e prendere un bus per Marte. Aveva tutte le risposte che servivano e non aveva intenzione di porsi altre domande. Accarezzò il sedile del taxi ed il sedile ringraziò, mugolando.
Arrivati a destinazione, il tassista sorridente inchiodò e si girò di scatto, sussurrando “Due.”
Ines fece due volte il gesto dell'ombrello ed i crediti vennero immediatamente trasferiti al chip del tassista. “Grazie, gioia.” Fece lui, laido. “Ti spezzo un braccio.” Fece lei, staccando il chip dal casco rettificatore del pirla. Lo sventurato si eclissò nel modulo, la sua pelle acquisì una strana tonalità giallastra e le sue pupille si restrinsero di botto. Senza l'iperico, il risveglio. Senza l'iperico, la realtà lo avrebbe schiacciato come una pressa. Pregò che la sedicenne gli restituisse l'oggetto. Lei gettò il coso sul sedile del passeggero e diede all'uomo una bella schicchera sulla fronte.
Poteva anche fare paura.
Alla Flynn's Arcade la scelta dei giochi era vasta. Si confrontò con un rompicapo matematico, ma abbandonò la postazione per uno sparatutto meningo friendly. Mentre attraversava la sala, si sentì chiamare. Era Marco, un compagno di roller. “Ciao, Ines. Una birra, per peggiorare la giornata?” Marco aveva un viso incasinato. Tentò di produrre un sorriso. “Vada per la birra.” Rispose la sedicenne, che non amava gli alcolici. Si sedettero al banco. “Come stai?” “Cerco di non pensare. Tu come stai?” “Io riesco a non pensare” “Doppia?” “Già. Ed erba.” “Palliativi. Conta solo il rollerblade. Quando ricominciamo?” “Lunedì. Mazzate!” Mazzate.
Si fecero compagnia, senza parlare d'altro. Finirono la birra, si abbracciarono e tornarono alle rispettive postazioni. Ines considerava Marco un amico perchè non l'ammorbava con inutili riflessioni esistenziali. Entrambi aderivano ad una visione spiccia e pragmatica della realtà in cui cuori, cervelli e fegati degli uomini erano pieni di crepe, anfratti e fessure, come la luna. Nei pozzi fermentavano speranze e tormenti. Ora si godeva, ora si soffriva. Stop. In generale, non si poteva guarire dalla melanconia, ma si poteva giocare, amare, odiare, malgrado il Wasteland.
Din don! Una voce elettronica si complimentò per il raggiungimento del massimo punteggio.
“I love Space Invaders.” Commentò Ines.
Tornò a casa a piedi, attraversando gallerie poco illuminate. Vide la sagoma di una piccola cappella. Si avvicinò solo per rendersi conto che si trattava della pubblicità di uno stimolante pituitario, la Via per l'immortalità. Il cattivo gusto dominava il mondo. Avrebbe voluto respirare un po' d'incenso.
Ines pregava un Dio inedito, architetto del Multiverso, creatore dell'uomo e delle code in posta.
Pensava che l'uomo lo avesse portato all'esasperazione, costringendolo a punirlo.
-Siamo moschini fastidiosi che si grattano le zampine sul detonatore di un'atomica- Pensò, scuotendo la testa. “Risultato, una luna crepata che mi nega l'amore.”
Con la mano sinistra si sfiorò il chip. Scorse la rubrica e visualizzò il numero di Ettore. Lo immaginò attaccato alla Doppia, a sognare la luce estinta di esotici tramonti ed albe indigene. Lo immaginò intrattenere conversazioni con altre ragazze, più belle, gentili, disponibili di lei. Pensò a lui così intensamente da far appassire un paio di lampioni.
Raggiunse un parchetto artificiale. Un'insegna scolorita ne indicava il nome: Arcadia. Lo conosceva.
Grattò di nuovo il chip. Chiamò ed attese.
Chiuse per pensare due secondi.
Richiamò ed attese.
“Ciao.” - Il mio hikikomori. Ettore. -
“Ciao, come stai?” Il modulo olografico risultava inibito. “Non ti vedo, è tutto ok?”
“Mi manchi.” Il tono di Ettore era grave, ma non sofferente.
“Ti manco tanto da prendere una pasticca e venire ad incontrarmi in paradiso?” No?
“Si, arrivo.” Viene.
Il viaggio fu così breve che il ragazzo arrivò mentre Ines disattivava il chip. “ Ma come...?”
Un bacio perfetto la fece ammutolire. “Ti ho seguita. Erano due giorni che aspettavo di incontrarti in sala giochi.” Un brivido le rigò la spina dorsale. “Se non mi avessi chiamata, mi sarei ritirato, per sempre.” Aggiunse lui. “E la claustrofobia?” Chiese la sedicenne, incredula. “Rinchiusa in un cassetto. Non resisterà.” Le loro dita s'intrecciarono, come rastrelli in amore. Dalla luna crepata, fendenti di luce ferivano l'ombra del Wasteland, facendo della coppia una coppa. Si sedettero su una panchina del paradiso in terra, attivarono alba e tramonto, programmarono un solenne silenzio e scivolarono insieme tra le braccia di Morfeo.
Lentamente l'area si riempì di gatti. Negli ultimi tempi si davano convegno intorno alle panche abitate, in cerca di storie, ombre e colore.