Elisa affrettò il passo nell'affanno di vedere se Marco era arrivato. Sì, eccolo lì, oltre la curva sulla solita panchina, ancora una volta chino su quel grande malloppo cartaceo uffa sbuffo lei: aveva portato la palla ma Marco, con un'aria troppo seria per i suoi 10 anni, era concentrato nella lettura, così profondamente da non accorgersi del suo arrivo. “Devi studiare anche oggi?” Si era fatta una treccia di lato molto graziosa solo per farsi ammirare da Marco, ma lui la guardò un attimo appena, con un sorriso, di sfuggita.”Ho solo mezz'ora per studiarmi il copione” lei annuì e si sedette accanto in silenzio “Anche oggi lavoro” non sollevò lo sguardo.
Marco lavorava da un anno in una grande fiction prodotta dalla Rai. Era un beniamino del pubblico; queste storie di famiglia intigavano molto. L'audience era alle stelle e così si sarebbe andati avanti per molto tempo ancora. Beh, era quasi un anno che non giocavano più insieme. Erano trascorsi quasi due anni da quando sierano incontrati proprio in questo giardino pubblico e si erano subito affiatati. Giocavano, parlavano di tante cose; pensieri, paure, affetti. Elisa era una bambina speciale; una bambina solitaria, sfuggente, paurosa, perlopiù muta. Aveva iniziato parlare tardi. Solo quando aveva conosciuto Marco era arrivato il “miracolo”. Con lui comunicava ed era uscita del suo lungo silenzio. E così erano lì, al solito posto. Lei un poco immusonita; Lui concentrato nello studio. Marco! Ecco, la madre era arrivata per accompagnarlo allo studio televisivo Elisa si avviò melanconica mente con la sorella maggiore verso casa. Si girò per vedere se lui fosse ancora visibile e non si accorse del motorino che le veniva addosso. Marco, il giorno dopo, ai giardini, si accorse dell'assenza di Elisa, ma dopo una settimana cominciò a farsi delle domande. Dopo due settimane, trascorse in fretta per via delle continue registrazioni televisive, decise di telefonare. E così seppe dell'incidente; sì, era uscita dal coma ma non parlava ancora; debole, troppo debole, ma una preside visita all'ospedale si sarebbe potuto fare. Marco si presentò emozionato alla casa di cura per vedere una pallida Elisa non salutarlo nemmeno dal suo lettino., Sebbene lo desiderasse, non potè tornare a vederla, troppo impegnato nelle registrazioni. Finché: “Che succede, marco non hai studiato la parte?” Si affannava il registra, vedendolo distratto, dimenticare le battute. E poi, quell’aria imbambolata, non più la sua famosa, incantevole espressione da piccolo orfanello perseguitato dalla sorte, un Oliver Twist dei nostri tempi, ma un piccolo, inespressivo robot. L’audiennce calava, il pubblico ormai sghignazzava, i critici imperversavano crudeli mente. Basta; per risollevare le sorti della fiction, si decise di far morire il piccolo eroe. Questa sì che si rivelò una buona idea. Sarebbe subentrato un altro piccolo interprete, più capace di lui. Marco si finse afflitto per il licenziamento, approfittò del suo tempo libero per correre da Elisa. Era ancora lì, nel suo lettino grigio, assente, chiusa nel suo mutismo. Emozionato, si accostò e le strinse la mano. “Elisa!“ proruppe forte cercando il suo sguardo. Lei si girò e finalmente sorrise. “Allora, Elisa, devo dirti una cosa. Una cosa importante. Devi guarire, DEVI, perché ora ho tanto tempo libero per giocare con te, tutti giorni, come prima.” “Tutti i giorni?” Lei finalmente rispose, sollevandosi a sedere. “Sì, mi vuoi ancora come compagno, vuoi o non vuoi?” Pensò a come era stato bravo a fingere di dimenticare le battute, assumere quell'area inebetita, a essere legnoso nei gesti. Beh, era stata una grande prova d'attore per lui. Allora? Ripeté. Lei si mosse leggermente, strinse la sua mano. Sì, ok la voce meno fruibile. “Ok” ripeté Marco “Ti do una settimana, al solito posto e. Porta la palla che ti voglio stracciare!”